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Nel Post precedente, il N° 4, ho cercato di dimostrarvi il perché la sentenza della Cassazione del 2007, la n. 13979, resa a Sezioni Unite, non sia utile – per la generalità degli interessati – a fondare un giudizio volto ad ottenere la somma risultante dagli originari tassi apposti sulle serie di buoni emesse antecedentemente al D.M. dell’86. Essa, infatti, tutela solo una sparuta minoranza di possessori di buoni fruttiferi, sui quali gli impiegati postali hanno, in realtà, dimenticato di apporre dei timbri.

In questo, vi dirò, invece, il perché una singola sentenza di un Giudice di Pace (ma anche del Tribunale o, addirittura, della Suprema Corte) non possa rappresentare la soluzione del problema.

Ebbene, il fatto è che nell’Ordinamento italiano non vige, come negli Stati anglosassoni, il principio giuridico in base al quale la sentenza del giudice rappresenta una fonte del diritto. In pratica, la sentenza del giudice italiano non crea diritto e, quindi, le regole in essa dettate non valgono per tutte le successive controversie aventi lo stesso ambito oggettivo. Altrimenti detto, la decisione di un giudice non assume per gli altri giudici, a cui verranno sottoposti casi analoghi, il valore di una regola generale alla quale bisogna necessariamente attenersi e dalla quale è, quindi, vietato discostarsi.

Nel nostro Paese, il ruolo cardine è purtroppo svolto dal legislatore e dalla legge, mentre la giurisprudenza (cioè i giudici) ha il solo compito (che è poi anche un limite) di applicarla.

Ai fini del nostro discorso, conseguenze dirette di un tale sistema sono, da un lato, che le sentenze passate in giudicato (perché non impugnate nei termini o, se impugnate, perché confermate nei gradi successivi) fanno stato (cioè valgono) fra i soli soggetti in causa e non hanno efficacia per tutti gli altri soggetti che sono rimasti estranei al processo; dall’altro, che quando il Giudice nel decidere un caso è vincolato alla legge il processo per modificarla (perchè, per esempio, ritenuta ingiusta) è molto più lento: occorrono cioè decine di sentenze conformi di diversi giudici per far intuire al legislatore (il quale dovrà poi intervenire) che quella data legge va modificata in qualche sua parte.

Dobbiamo, inoltre, sapere che i nostri giudici nell’applicare la legge sono chiamati ad interpretarla in maniera corretta. Ma l’interpretazione è un qualcosa di personale che dipende dalla preparazione giuridica del magistrato, dalla sua esperienza, dalla sua sensibilità. Per questo motivo, probabilmente vi sarà capitato di sentire che “il diritto è un’opinione”. Questo è vero, ed accade proprio perché i giudici possono interpretare in modo diverso quella data legge. Per capire: è possibile che se il Giudice di Pace di Savona (che è un magistrato onorario, in quanto per fare il giudice non ha dovuto superare un selettivo concorso di magistratura) ha ritenuto di poter dare ragione al risparmiatore sulla base di quel dato articolo del D.P.R. 156/73, non è detto che il Giudice di Pace di Firenze o il Tribunale di Agrigento (i cui giudici sono togati e più attenti ad applicare il diritto dei codici facendo più approfondite ricerche) siano dello stesso avviso, interpretino nello stesso modo quell’articolo e si comportino in maniera conforme al giudice di Savona.

Sintetizzando, quali insegnamenti possiamo trarre da questo post?

1) Se i coniugi Tizio e Caio, possessori di BFP della serie “P”, vincono una causa a Savona, quella vittoria consentirà solo a quei due soggetti di riscuotere interamente i buoni;

2) la sentenza del Giudice di pace di Savona non servirà cioè a far sì che Poste Italiane sia tenuta a pagare, negli stessi termini, i possessori della stessa serie di buoni che si rivolgeranno negli uffici postali di Roma, Milano, Agrigento ecc.;

3) non è inoltre detto che il Giudice di pace di Bergamo, o di Lecce, sia d’accordo con il Giudice di Pace di Savona e per questo dia ragione a quei risparmiatori che facciano causa davanti al suo ufficio;

4) per convincere il legislatore ad intervenire su quella data legge ritenuta “ingiusta” ci vorrà del tempo e, soprattutto, ci vorranno decine di sentenze di Giudici che, interpretando in maniera concorde tra loro, spiegheranno il perché la variazione in peius dei saggi di interessi non sia corretta.

Nel prossimo Post spiegheremo il perché non è intelligente (quand’anche fosse possibile) intentare un’azione collettiva.